Laura Nicolini
UNA PALLOTTOLA STUDIATA

Articoli recenti

Essere umano e tecnologia? Sono la stessa cosa

Essere umano e tecnologia? Sono la stessa cosa

Cosa succede quando un nerd e una filosofa si incontrano?

Ho chiesto a Maddalena Bellasio, filosofa di formazione, di scrivere un articolo a partire dagli spunti di Marco Proserpio, programmatore web.

E così, a incontrarsi sono state anche tecnologia ed etica.

C’è un concetto intrigante nella storia dell’arte e nella filosofia ottocentesca: il “sublime”. Indica il sentimento di terrore e al tempo stesso fascino che invade l’essere umano davanti a eventi naturali grandiosi. Un «naufragio con spettatore» che spaventa per la sua forza travolgente; eppure quando ci si trova davanti a onde enormi o colate di lava (se la nostra sopravvivenza non è in pericolo e siamo quindi gli “spettatori”), non si riescono a staccare gli occhi da quello spettacolo inquietante e ammaliante, sebbene distruttivo.

Eruzioni vulcaniche, terremoti, potenziali catastrofi: sono fenomeni con una forza travolgente e violenta, ma per gli stessi motivi affascinante. Questa caratteristica non appartiene solo ai fenomeni naturali: anche la tecnologia a seconda di come viene utilizzata può assumere un carattere miracoloso o al contrario devastante.

Dagli strumenti di legno, osso e pietra che permettevano di accendere e domare il fuoco ai primi orologi, dalla stampa al vapore, dall’elettricità ad «Alexa, riproduci la mia canzone preferita»: storicamente la tecnologia ha permesso all’essere umano di controllare la natura e modificarla secondo i propri bisogni e desideri. Pian piano il mondo esterno non è più bastato all’intervento tecnologico e così è nata la necessità di plasmare una nuova dimensione: quella virtuale, che attraverso l’utilizzo di accessori si sostituisce alla dimensione sensoriale tangibile con dispositivi sempre più raffinati che restituiscono un’esperienza estremamente verosimile dalla vista all’udito, fino addirittura al tatto.

Spingendosi ancora oltre si giunge alla realtà aumentata, che è l’arricchimento della percezione sensoriale umana e che permette alla dimensione virtuale e a quella reale di sovrapporsi. Realtà tangibile e realtà virtuale si fondono e diventano sempre più imprescindibili, così come online e offline, e capita che si perda la percezione di ciò che è vero e ciò che è falso: ci trasformiamo in un micione con un filtro e ammiriamo la regina Elisabetta in un balletto di TikTok grazie al deepfake. Ma c’è anche una realtà alternativa, quella che come in un sogno lucido costruiamo nel mondo di videogiochi come Second life riversando sul nostro personaggio ambizioni, sogni, realizzazione.

Presto potremmo andare ancora oltre: Mark Zuckerberg ha annunciato l’universo parallelo del Metaverso. Meta in greco significa “oltre”, ed è proprio oltre che la tecnologia si spingerà: la rete che si trasformerà in una realtà a sé.

Allo stesso tempo l’essere umano è diventato oggetto della tecnologia, a vari livelli: dal potenziamento delle prestazioni attraverso particolari accessori come erano gli strobe glasses (che miglioravano la vista sviluppando equilibrio e riflessi) ai casi più controversi di editing genomico, ovvero l’ingegneria genetica in cui il DNA viene modificato, cancellato, inserito, sostituito (una specie di taglia e cuci); passando per Neuralink, un chip che impiantato nel cervello permette di regolare il proprio umore bilanciando i livelli ormonali.

Questo tipo di alterazioni del corpo e delle prestazioni umane viene definito “potenziamento umano” e spesso si colloca al confine tra eticità e immoralità. In realtà può coinvolgerci tutti: per caso prima di iniziare a studiare o a lavorare avete preso un bel caffè per darvi la carica? Ebbene, siete (o meglio, siamo) soggetti al potenziamento poiché la caffeina è una smart drug: una sostanza che aumenta le capacità cognitive.

Così come online e offline si sono fusi diventando due dimensioni imprescindibili e che si sostengono vicendevolmente, allo stesso modo l’essere umano e la tecnologia si stanno intersecando in una rete con maglie sempre più strette.

L’avvento tecnologico è inevitabile e travolgente, un dato di fatto. Non possiamo (e probabilmente non vogliamo) arrestare la tecnologia, ma possiamo chiederci quanto e fino a che livelli le applicazioni tecnologiche e le loro conseguenze siano eticamente giuste. Come per molti quesiti morali, la risposta più accurata è «dipende».

Anzitutto la tecnologia presenta sia benefici che rischi (d’altronde, come qualsiasi altra cosa). In logica filosofica esiste un principio che ben si applica all’etica e alla bioetica: la “fallacia della brutta china” (in inglese slippery slope, che suona molto più divertente). Indica quei ragionamenti per cui accettare una prima tesi porta con sé delle conseguenze inevitabili che si susseguono fino a diventare catastrofiche: proprio come se dopo aver fatto un piccolo salto, di per sé innocuo, scivolassimo rovinosamente su un pendio. Significa che acconsentendo a una prima condizione di per sé poco pericolosa (per esempio il fatto di accettare l’utilizzo di un visore virtuale) daremo il via a una serie di conseguenze inevitabili che ci porteranno a una situazione inaccettabile e dannosa, quasi distopica (un’umanità simile a quella del film d’animazione Wall-e).

Per i nerd della filosofia (come me), la definizione di questo principio come “fallacia” rivela la sua natura falsa: una fallacia è un ragionamento che ha alla base un errore logico, quindi il principio che ne deriva è inattendibile. Ci sono diversi tipi di fallacia, immaginiamo un esempio: questa mattina ho indossato i calzini rosa e ho rovesciato il latte, quindi indossare i calzini rosa fa rovesciare il latte. In realtà rovesciare il latte non è la conseguenza diretta di indossare i calzini rosa: si tratta di un errore logico e quindi il ragionamento è sbagliato, così come il principio che ne deriva (indossare i calzini rosa fa rovesciare il latte).

Sicuramente ciò che è importante è la visione oggettiva delle situazioni e l’individuazione di eventuali criticità con il conseguente inserimento di correttivi. Un esempio riguarda l’intelligenza artificiale: se sviluppassimo un algoritmo addestrandolo sui contenuti che si trovano su internet (quindi come se gli dessimo quel materiale per imparare) il risultato sarebbe denso di discriminazioni di etnia, genere, età e condizione sociale. Ciò accade perché i contenuti presenti sul web prodotti da uomini bianchi, magari anche boomers un po’ razzisti e sessisti, sono in una quantità statisticamente schiacciante rispetto ai contenuti di diversity e in alcuni casi vengono addirittura favoriti (come denunciato dai Facebook papers).

L’essere umano, spesso inconsapevolmente, è immerso in bias cognitivi (ovvero distorsioni che le persone applicano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti, come dei preconcetti) spesso alimentati da abitudini culturali e futili stereotipi difficili da sradicare. Il rischio è quello di trasmettere questa modalità di pensiero fallata alla tecnologia, e allora qui entra in gioco l’importanza di inserire dei correttivi, dei paletti orientati all’inclusione e alla diversità (in questo caso).

La tecnologia ha un carattere ambivalente che può essere distruttivo o miracoloso, e così l’essere umano stesso. Viene descritto da Sofocle con l’ambiguo termine greco dèinos che viene tradotto sia con “tremendo, terribile, spaventevole” che con “stupendo, egregio, eccellente”: l’essere umano è straordinario sia in senso positivo che negativo, è capace di fare cose terribili, così come cose meravigliose. Allo stesso modo la tecnologia è eticamente neutra: il suo carattere distruttivo o miracoloso dipende dagli usi che ne vengono fatti e dalle loro conseguenze, quindi dipende dall’agire umano.

In fin dei conti, di chi è la responsabilità? Ma soprattutto… vi piace l’idea di un mondo parallelo dove vivere una la realtà virtuale con tutti i sensi attivi?