Perché il burraco dovrebbe essere inserito nei colloqui di lavoro.
Secondo me il burraco è lo specchio dell’anima e vi dico perché. Con l’alternanza scuola-lavoro che attivo da anni nella mia agenzia di comunicazione, ho l’occasione di conoscere molti studenti e studentesse. Per me una grande opportunità, perché grazie a loro sono costantemente aggiornata in merito a nuovi social, tendenze musicali, videogiochi pazzeschi, youtuber che spaccano, serie TV, meme e quant’altro. Con loro posso prendermi qualche confidenza così, dopo un paio di settimane di stage, li invito ad una partita di burraco. Se sanno già giocare tanto meglio, altrimenti in un paio di lezioni li aiuto a gettare le basi. Bene. Mi sono accorta quasi subito che dallo stile di gioco, sia nella fase di apprendimento che nelle partite da esperti, riesco a individuare le caratteristiche della persona.
Ed ecco alcuni esempi:
IL SO TUTTO IO: spieghi le regole ma il soggetto non ascolta, è già oltre. In un attimo crede di aver capito tutto e di avere in mano le strategie e i trucchetti. In casi come questo so già che sarà difficile fargli mantenere la concentrazione su un progetto complesso e soprattutto ottenere il rispetto delle “regole del gioco”, come ad esempio la pazienza con quel cliente che fa sempre richieste assurde oltre a esigere – come sempre – il logo più grande. Difficilmente avrà l’umiltà di chi deve imparare un mestiere.
L’INSICURO: si fa ripetere le regole e nonostante questo continua a sbagliare. Non se le ricorda per via dell’ansia, non le ha capite ma non osa chiedere, ci mette una vita a decidere la mossa successiva, incurante del compagno di gioco (per i babbani: il burraco si gioca quasi sempre in coppia) che aspetta con impazienza la sua giocata. E peggio ancora gli altri giocatori, che si innervosiscono dopo 3 nanosecondi di attesa. In casi come questo, difficilmente il soggetto si esporrà con le proprie idee e, per paura di sbagliare, non prenderà iniziative. Addio creatività e sperimentazione.
IL CONTESTATORE: ok, le regole le ha capite, ma non si possono cambiare? Chi lo ha detto che un jolly si può muovere solo in un certo modo? Perché devo tirar su tutto il pozzetto se mi serve solo l’ultimo scarto? Eh, auguri. Quando partono così so già che si sprecheranno un sacco di energie in spiegazioni inutili, ripetitive, noiose. Anche se gioca rispettando le regole, per principio le vorrebbe cambiare: peccato che ogni progetto abbia le proprie e non sempre sia possibile fare di testa tua, amico mio.
L’EGOCENTRICO: gioca per sé, non presta attenzione al gioco del proprio compagno, tanto meno tiene d’occhio l’avversario. Per lui l’importante è vincere e prendersi il merito. Se qualcosa va storto la colpa è degli altri, che son più fortunati. So già che non funzionerà mai in squadra, il che per certi progetti può anche andar bene, ma nella maggior parte dei casi al tavolo di un incarico professionale devono sedersi diversi specialisti, con l’umiltà comunque di capire e imparare dagli altri, per raggiungere più facilmente l’obiettivo comune di un lavoro ben fatto.
IL FURBETTO: ops, ho sbagliato scusate! Sorry, posso cambiare? Cavoli, non lo avevo visto. Ho contato male i punti ma non ho fatto apposta, ah già, così non si può fare! Eccetera. Ecco, salta all’occhio la propensione alla furbizia,
quella buona fede un po’ sospetta che lascia che si insinui il dubbio: ma questo ci è o ci fa? In ogni caso un campanello d’allarme: o è distratto oppure è tonto, o si crede furbo oppure sottovaluta i compagni di gioco. Insomma, comunque sia è certo che farà qualche casino e saremo noi a doverlo giustificare con il cliente.
A questo punto mi domanderete: “ma non esiste il giocatore perfetto?”. Certo che esiste. È un soggetto che gioca con attenzione, rispetto, concentrazione, creatività e sperimentazione. Gioca per giocare e vuole vincere, ma vuole anche imparare dalle sconfitte. Molto probabilmente diventerà il collega ideale, il compagno di progetto, l’interlocutore perfetto per il cliente. Gioca tranquillo, se sbaglia non si arrabbia, anzi ammette l’errore con sè stesso, riconosce il talento altrui e non si demoralizza se va sotto col punteggio anzi: si concentra sulla prossima partita e intanto studia l’avversario (l’incarico dal cliente), sceglie una strategia (la creatività e il metodo), supporta la squadra (collabora e condivide) e spesso porta a casa il risultato.
Detto questo, sto pensando seriamente di inserire il “test burraco” nel prossimo iter di selezione del personale d’agenzia (pubblicitaria). E se vi domandate come gioco io… “mi avvalgo della facoltà di non rispondere”.
Nel frattempo ricordate: non può essere solo fortuna J